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un'idea di: Marco Salicini

 

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Che la ristorazione sia un biglietto da visita di una città è un dato di fatto eloquente ed assai importante in epoca moderna, quando molti capoluoghi hanno mutato le proprie abitudini, trovandosi ad interfacciarsi con una mole di turisti in perenne aumento. L’effetto della globalizzazione si ricuce ed incombe trasversalmente sulla ristorazione, alle prese con risvolti sociali che dal giorno alla notte richiedono di adattarsi o assecondare un melting pot che ha allargato il giro di clientela, interrompendo gli algoritmi di molte osterie magari abituate fino a pochi anni fa ad interagire integralmente con gli abitudinari.
All’Osteria Bottega di via Santa Caterina rimane anno dopo anno, una delle migliori cartoline per il centro storico del capoluogo emiliano, gastronomicamente parlando. Ha mantenuto alto il suo fascino ed il suo carisma, riconfermandosi stagione dopo stagione come un’icona indiscussa agli occhi dei bolognesi e facendo breccia nel cuore delle guide gastronomiche, riconoscendone le virtù come uno degli indirizzi più celebri della regione.
L’identità possente di questa tavola è il vero nettare calcato sull’esperienza : il magnetismo dell'arredamento diffuso sui toni caldi della sala, agli algoritmi del servizio che al contempo rilasciano informalità, bengodi, benessere, convivio ,al bon ton radicato nel piacere d’altri tempi. E rimane il fattore essenziale, più importante e più difficile, niente meno che il primo metro di valutazione per il commensale, passa perennemente da come si sta a tavola, poi il menù ed i suppellettili chiamati ad agire di conseguenza.
Il direttore d’orchestra, Daniele “Il Dandy” Minarelli si contraddistingue tra i suoi colleghi proprio per aver dato un’anima eidetica a questo luogo, per avere il mestiere, la sapienza e la passione innata e venerea per la cucina di queste origini. La narrativa dell’Osteria Bottega agisce come impulsi al commensale, scorre nella parte emotiva comprensibilmente di ciò che viene fatto e raccontato e di come viene prodotto . Tutto ciò che si vive e viene testato parte dalle origini di un alimento e di un luogo prima ancora di come viene caratterizzato e lavorato.
Il Dandy e sua moglie Valeria sono maestri nella parte espositiva ed hanno strutturato il servizio impeccabilmente, inquadrando a meraviglia le controparti : da un maitre storico come Mustapha Benanane, capace di far star bene, viziare e consigliare il cliente con inflessibile eleganza e propedeutico prestigio, all’altrettanta puntuale professionalità corrisposta da Giuseppe, aggiungendo il recente ingresso con la simpatia inarrestabile di Andrea Ventura.

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L'assortimento strepitoso dei salumi | La tavola apparecchiata | Il salame da affettare al coltello


La tradizione bolognese, l’emilianità erudita, i grandi artigiani e produttori, il fil rouge con le materie prime che da sempre fungono come elemento cardine e protagonista incoronate da cotture e condimenti attuati per attizzare sapidità, dolcezza attraverso fondi e nappature e senza nascondersi dai sapori più indigeni e ruspanti, sempre nel segno del gusto e dei più concentrati ed appaganti ricami. C’è l’antichità e l'arte povera, con tanti animali e volativi della corte e della selva recuperati e cucinati rintracciando nelle ricette un richiamo all’ecosistema su ripresa degli umori e degli odori di stagione.
In apertura inevitabile appropriarsi della grassezza, delle consistenze e degli aromi affioriti dalla miglior cluster di salumi che potrete trovare a ristorante : un vero e proprio tripudio dell’arte del maiale che Minarelli mantiene atavicamente attiva, proseguendo la manodopera tramandata di dinastia in dinastia.
Il Prosciutto di Parma di razza “Maiale Pesante Padano” stagionato 36 mesi o di Mora Romagnola allevato allo stato brado e stagionato 48mesi, il grande Culatello del Podere Cadassa stagionato 36 mesi in cantine naturali, la mortadella scioglievole, profumatissima e digeribile di Felsineo, il formidabile salame di culatello di budello gentile razza “Nero di Parma” allevato allo stato brado che viene affettato direttamente in servizio e poi le primizie inimitabili, che diventano oramai signature libidinose, come la coppa di testa nostrana al profumo di pepe nero, il Lardo di razza “Nero di Parma” allevato allo stato brado, decorato e irrorato con pepe nero ed erbe aromatiche, stagionato in conca per un bengodi di burrosità e spudorata grassezza da gustare con intensità grazie al supporto degli aromi che ne bilanciano il sentore e ovviamente la salsiccia cruda al pepe nero, per cui si scenderebbe a compromessi. Il carpaccio di pere e parmigiano funge da spartiacque per pulire la bocca in un fagocitante banchetto di sole mani, tra un pane evergreen e la sfiziosa crescente. Per limare i lipidi, la famosa giardiniera fait maison che non teme rivali per la sua croccantezza e la pulizia dall'eccesso di acetosità ed i carciofini sott'olio fatti dalle donne di Bentivoglio di una emollienza persuasiva.

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La salsiccia cruda al pepe nero : vale il viaggio | I carciofini e la sublime giardiniera fatta in casa


Le paste fatte a mano da sempre rappresentano virtuosamente un punto di forza : c’è il tortellino tanto piccolo e sartoriale nel suo formato e nella sua chiusura quanto poderoso per il calibro di saporosità che rilascia che noi qui, preferiamo nel glorioso brodo di cappone rispetto all'altro tortellino, una variante in goccia d'oro padroneggiata dalla cucina. La tagliatella al ragù, di cui a mio avviso quelle degne in città non si contano nemmeno nelle dita di una mano, fa da regina confermandosi la migliore tra le mura petroniane, sinergicamente arrovellata e cotta per valorizzarne la pasta ed il ragù, sui cui avviene una relazione unica per quanto non venga prevaricata dal condimento (la tagliatella non è un tajarin e deve spiccare per i suoi tratti ruvidi al palato ndr) pur quanto esso occupi una controparte decisa per espressione e densità degli ingredienti. Il tortellone è contraddistinto dalla setosità della sua pasta che come un velo ricopre il ripieno di coniglio, in vellutata del suo fondo e con rosmarino per un primo piatto nettamente più delicato e aggraziato. Il piatto della memoria sono i rigatoni al torchio fatti in casa con frattaglie di cortile tagliate a coltello e ovarine, incentrando un altro tratto distintivo immancabile nella cucina del “Dandy”, la ferrosità, qui su una pasta tenace, tutto sulla masticazione.
Nei secondi il corteo delle grandi carni, tre sono gli inamovibili della carta : il piccione di nido in cotture differenziate, per il petto rosato, le coscette e le ali croccanti, laccate dal jus di cottura e frutti rossi, la cotoletta di vitello con il suo osso da sgranocchiare alla petroniana, dorata con arguzia in padella e ripassata col brodo di cappone, prosciutto e Parmigiano Reggiano. Nella nostra ultima visita per la prima volta ha riscontrato un eccesso di cottura che ne ha peccato in termini di succosità della carne e di rappresa del brodo, contraddistinguendosi sempre per la qualità degli ingredienti a vantaggio della digeribilità, nonostante l’opulenza del piatto. Infine la faraona arrosto, allevata a terra servita con il suo fondo e prugne in agrodolce. Tra le pietanze invernali, la costola di vitello “Frisona” laccato dal suo fondo di cottura al vino bianco e funghi porcini a rilasciare un’intesa meravigliosa tra i porcini ed il fondo stesso, addolcita dai mirtilli a guarnire, conquistando il palato per l'armonia tra le controparti e la vivacità della stagione. Anche il capretto laccato dal suo fondo stimola le mani, sgranocchiandolo fino al midollo, servito con carciofi freschi croccanti.

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Il Tortellone al coniglio | L'altro tortellino | La costola di Frisona con porcini e mirtilli, uno dei piatti della serata


Per i palati più virili, il cotechino fatto in casa dall’antica ricetta di casa : dimenticatevi stucchevolezza, additivi e conservanti applicati da una delle pietanze che ahimè hanno tediato le bocche attraverso fake industriali. Qui troverete tutti gli umori più selvatici, primigeni ed ancestrali, senza filtri. In contorno, finalmente, le patate di tolè cotte alla perfezione, sontuose per la dolcezza quasi dimenticata e prive di un dislivello tra la superficie eccessivamente abbrustolita e l'interno sbadatamente lessato.
Non è sempre semplice arrivare ai dessert che suggeriamo di condividere per evitare di rinunciare al resto del pasto : anche in questo caso le ricette sono impermeabili a qualsiasi rivisitazione dalle memorie di casa, come la zuppa inglese con ciambella bagnata all’alchermes senza crema e con scaglie di cioccolato Majani, piuttosto che la torta degli addobbi. Ed il dolce della domenica, irrinunciabile, un ibrido tra un fior di latte ed un fior di panna, agli amaretti e mandorle che riepiloga il fulcro della pasticceria bolognese d'antan. Importanti e squisiti i sorbetti preparati dalla cucina, un mandarino rinfrescante che vi riaccenderà con uno slancio agrumato, un sapore primigenio oramai dimenticato. La cantina dal primo giorno raccoglie grandi maisons e produttori importanti, tenta sulle bollicine su cui non vi sono ricarichi strumentalizzati, equilibrando peraltro la sezione d'Oltralpe con i grandi metodi classici italiani, prima dei rossi più ricchi ed avvolgenti, mirati e formidabili sulle annate.
Chi passa da Bologna per assimilarne lo stile ed il tenore della sua cucina, non può evitare una sosta all'Osteria Bottega : qualche ora per immergersi nella storia e nell'accoglienza più caratteristica e rigorosa della tavola modello emiliana. 

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Capretto | Cotechino fatto in casa | Cotoletta alla bolognese | Dolce della domenica

 

ALL'OSTERIA BOTTEGA
Via Santa Caterina 51, 40123 Bologna
051585111

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